Il 3 marzo 1501 papa Alessandro VI destinò alla guida dell’arcidiocesi sorrentina un personaggio controverso ma allo stesso tempo dalla personalità affascinante: lo spagnolo, o meglio dire il catalano, Francesco Remolines. Nato a Lérida nel 1462, Francisco si dedicò molto giovane agli studi di diritto, laureandosi dottore in utroque iure all’università di Pisa. Dopo un matrimonio fallito, la moglie si fece monaca e lui decise di darsi alla vita religiosa per trovare una ricca occupazione: ordinato sacerdote, per le sue spiccate conoscenze giuridiche divenne dapprima protonotario apostolico ed in seguito vescovo ausiliare di Lérida. Lo stato sacerdotale, però, non doveva molto confarsi alla sua indole: amava tantissimo le donne (e alcuni malignavano che gli piacessero anche gli uomini) e per via delle sue avventure sessuali si ammalò di sifilide. Nel suo caso il morbo non causò segni esteriori, ma lo tormentò per tutta la vita. L’inclinazione per i piaceri sessuali, comune d’altronde alla gran parte del clero rinascimentale, non troncò la sua brillante carriera: a fine ’400 si trasferì nella Roma di papa Rodrigo Borgia (Alessandro VI) in qualità di inviato da Re Ferdinando il Cattolico e per le sue qualità fu nominato dapprima uditore di rota ed in seguito governatore di Roma. Nel corso del suo soggiorno nel Lazio, fu rapito durante una scorreria turca e condotto a Costantinopoli: fu liberato dopo circa un anno, grazie al riscatto pagato dalla Santa Sede. Nominato arcivescovo di Sorrento, per le ricche prebende che offriva la diocesi e per il prestigio della sede, si avvicinò in questo modo a Napoli, dove era stimato per le doti di comando e di amministrazione. In realtà a Sorrento trascorreva brevi periodi, perché continuò a prestar servizio di curia a Roma: nel 1503 fu creato cardinale ma conservò il ricco arcivescovado di Sorrento a cui era affezionato e vi aggiunse nel 1504 il vescovado di Fermo, aumentando le sue entrate. Tra il 1511 e il 1512 fu nominato “Luogotenente generale del Regno di Napoli”, per sostituire il compaesano Raimondo de Cardona che assunse il comando della Lega Santa contro i francesi: per questo prestigiosissimo incarico, si trasferì a Napoli, dove oltre al governo attendeva principalmente al gentil sesso. Nei “Successi Tragici et Amorosi” di Silvio e Ascanio Corona, circolati per secoli manoscritti, la figura del Remolines esce distrutta: “sotto il vice regnato di don Raimondo di Cardona (il Remolines) fece apparire la sua natura sfrenata con maschi e femmine”. Non solo amava il gentil sesso, ma era pronto ad usare la sua stessa autorità, nonostante fosse cardinale, per godere dei piaceri più sfrenati: “godette Pippa Arcamone – riferiscono i Corona – e quando il Cardona lo lasciò luogotenente al governo non ebbe più freno”. La stessa Pippa Arcamone, la cui relazione con il cardinale era di dominio pubblico, dovette monacarsi per evitare di essere uccisa dalla famiglia. Si raccontava inoltre che avesse persino abusato della verginità di una fanciulla della famiglia Composta di Pozzuoli, in cambio di alcune pressioni che doveva esercitare in un processo. Una figura di dubbia moralità dunque tanto da far scrivere a Giuliano Passaro che “monsignore era mal homo, et era molto malvoluto in Napoli”. Solo nel 1512 rinunciò alla sede sorrentina, ma soltanto in favore del nipote Gisberto, che probabilmente visse più santamente dello zio: e non ci voleva molto! Fu nominato amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Palermo nello stesso 1512 e vescovo di Albano nel 1517, soggiornando a lungo a Roma, alla corte di papa Giulio II. Il 5 febbraio 1518 la silente sifilide che lo aveva accompagnato per la gran parte della vita lo condusse “al Creatore”: aveva 56 anni e fu seppellito nella basilica di Santa Maria Maggiore. Secondo alcune cronache il Remolines non “visse” serenamente neanche nella tomba: alcuni anni dopo la morte, fu aperto il sepolcro e fu trovato con il braccio sotto il capo. Secondo alcuni fu seppellito vivo, ma creduto morto per via di un’asfissia. Una vita avventurosa quella del Remolines, nel segno del denaro, del potere e dei piaceri sessuali, ma poco attratta dalla religione, se non per arricchirsi e diventare potente in una società avvezza alle inquietudini del clero: fino all’800 erano più i sacerdoti divenuti tali per trovare una dignitosa occupazione che quelli realmente attratti dalla vita religiosa.
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