Un ricordo dell’uomo, del cittadino a passo con i tempi, sempre presente tra i suoi concittadini, del sacerdote impegnato nella crescita culturale e religiosa della “sua” Pastena, la frazione dove viveva e amministrava il suo ministero sacerdotale .
Lo ricorda con affetto filiale don Francesco Saverio Casa, prete benemerito, figlio di Massa Lubrense.
( di don Francesco Saverio Casa) – La storia di tute le arti è stata contrassegnata dall’interesse e dalle reazioni alla provocazione dell’immagine del prete neologismo che sta per sacerdote.
Nel lungometraggio di Fellini, La voce della Luna (1990), vengono esibiti due differenti modelli di preti: il monsignore e il parroco. Reagiscono in modo disparato alla cattura della luna. Il primo è interrogato da un giornalista che gli domanda cosa chiederebbe alla luna, ed il monsignore offre una risposta preconcetta. Il secondo, il parroco, ammette l’esistenza del dubbio presente finanche nel suo cuore di prete.
Ebbi modo di conoscere in profondità Don Aniello Castellano, Parroco di Pastena, solo dopo aver superato tutte le classificazioni della caratteriologia personale e, queste, annesse al mitico insieme al fiabesco e all’allegorico, note a pie’ di pagina di una diffusa leggenda metropolitana farcita da scoop e gossip esemplare perlopiù di sicura mentalità provinciale.
Appena ordinato sacerdote fui invitato caldamente da Don Aniello a tenere il pergamo in diverse circostanze nella Chiesa Parrocchiale di San Paolo, sia in occasione delle Solenni Quarantore sia della Festa della Conversione di San Paolo.
Non posso tralasciare il ricordo, a tutto oggi lucido e vivo nella memoria del cuore, di quelle conversazioni, aperte e lineari, antecedenti le celebrazioni.
Quei dialoghi trasparivano come un viaggio intorno a questo mondo – da qualcuno definito piccolo rispetto all’universo -, e ci portavano entrambi a spaziare dall’uno all’altro capo, per poi far ritorno planando su questa cara nostra amata terra.
Mi interfacciavo con un prete rimasto uomo, cittadino del mondo e capace di muoversi nella rete delle comunicazioni globali, senza ricorrere necessariamente all’ ausilio di Google e Facebook.
Don Aniello si rivelò fin da subito in cammino col proprio tempo, ma “fuori tempo”, attento e benevolo, critico e vigile. Talvolta il mio sguardo si posava sulla sua libreria posta in sagrestia, e tra un approfondimento e un’intuizione pastorale – per dirla in termini ecclesiali – ebbi la percezione, generata da un’empatia immediata, che l’uomo – sacerdote col quale dialogavo aveva introiettato non la “cultura del sapere” ma il “sapere” dove la cultura poteva raggiungere l’uomo complesso della post modernità. Mi cito’ Don Aniello un’espressione del Papa Giovanni Paolo II: “Cristo è la misura di tutti i tempi”.
Compresi allora, sacerdote giovane, come si risolve alla radice l’antinomia tra tradizionalismo e progressismo, agone arduo e sfiancante dal quale non riuscirono ad emendarsi neanche i sacerdoti e i parroci i quali hanno stilato la storia della chiesa di Massa Lubrense.
Nei successivi incontri, Don Aniello mi parlò di come e quando all’uomo interessi solo ed esclusivamente incontrare Cristo.
In un dialogo avvenuto nella Cattedrale di Genova il 27 maggio del 2017 tra Papa Francesco e i sacerdoti, il Vescovo di Roma ha risposto in questi termini ad una delle domande che gli sono state rivolte: “Non si sta andando sulla strada buona quando il sacerdote parla troppo di sé stesso, troppo: delle cose che fa, che gli piace fare. È autoreferenziale. È un segno che quell’uomo non è un uomo di incontro, al massimo è un uomo dello specchio, gli piace specchiarsi, rispecchiare sè stesso. Ha bisogno di riempire il vuoto del cuore parlando di sé stesso. Sono un uomo “di orecchio”, che sa ascoltare? Gesù mai si è legato alle strutture, ma sempre si legava ai rapporti. Ma, Padre, Lei non è moderno, questi criteri sono antichi. Così è la vita, figlio, sono i vecchi criteri della Chiesa che sono moderni, ultramoderni. Noi non siamo il Signore, il Signore è Lui”.