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IL 20 OTTOBRE 1984 NEL DUOMO DI NOLA VIENE CONSACRATO VESCOVO MONS FELICE CECE, ARIVESCOVO DI SORRENTO-CASTELLAMMARE FINO AL 2012 - WEB GIORNALE INDIPENDENTE

IL 20 OTTOBRE 1984 NEL DUOMO DI NOLA VIENE CONSACRATO VESCOVO MONS FELICE CECE, ARIVESCOVO DI SORRENTO-CASTELLAMMARE FINO AL 2012

IL 20 OTTOBRE 1984 NEL DUOMO DI NOLA VIENE CONSACRATO VESCOVO MONS FELICE CECE, ARIVESCOVO DI SORRENTO-CASTELLAMMARE FINO AL 2012

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L’Arcivescovo Felice Cece.

Maestro nella fede, Interprete autorevole della Parola.

( a cura di don Francesco Saverio Casa, rettore della Basilica di San Paolo a Sorrento)- 20 ottobre 1984. Nel Duomo di Nola, Don Felice Cece già Vicario Episcopale della Diocesi di San Paolino, veniva consacrato vescovo e destinato dal Papa Giovanni Paolo II alla Diocesi di Calvi e Teano, divenuta poi Diocesi di Teano – Calvi con decreto  del 30 settembre  1986 disposto dalla  Congregazione per i vescoviVescovo/Episcopus. Il Papa San Gregorio Magno nella sua Regola pastorale ricorda ai pastori della Chiesa: “Cercate di avere sale in voi stessi, e vivete in pace tra voi”. Il sale sembra contrapporsi alla pace, provoca irritazione e dolore. La pace, che tollera l’altro; ma anche il sale, che mette a nudo e combatte gli elementi distruttivi. “Chi bada troppo alla pace puramente umana, senza più redarguire i malvagi e dando in tal modo ragione ai perversi, si stacca dalla pace divina”. Divenuto il primo Arcivescovo della Arcidiocesi di Sorrento – Castellammare di Stabia, fece il suo ingresso nella Chiesa Cattedrale di Sorrento l’8 aprile 1989. Mons. Felice Cece tracciò delle luminose e imprescindibili linee pastorali allo scopo di offrire non un’idea generica di chiesa, ma una visione teologale ed umana insieme di “chi è la Chiesa”: conversione all’amore di Cristo e scelta preferenziale per i poveri secondo uno stile evangelico, verso la meta dell’uguaglianza perseguendo l’obiettivo della trasparenza. Delineo succintamente i punti nevralgici di un episcopato lungo e fecondo, il quale ha dato frutti con lettura profetica della realtà territoriale ed ecclesiale nella celebrazione del primo Sinodo Diocesano. Il 24 novembre  2000, in occasione della Solennità di  Cristo Re, ne annunziò l’indizione. Consegnati alla storia e riportati nel Libro del Sinodo pubblicato alla sua conclusione nel 2011, restano fermi nella memoria gli esplicativi ed intelligenti interventi durante la preparazione all’assise diocesana. Amare Cristo povero, centro della storia. “La nostra Chiesa si impegna a vivere secondo uno stile di vita semplice e sobrio, allontanando tutte le ostentazioni e vivendo con sempre maggiore trasparenza nella costante ricerca della legalità, attenta ai bisogni dei poveri. La legalità è un bene per tutti, il dialogo è via di crescita umana e di soluzione dei conflitti, la riconciliazione e il perdono un grande valore sociale. Non è possibile il recupero della legalità senza il ritorno all’etica: solo i principi etici possono fondare il dovere di osservare le leggi e di produrre leggi giuste. Sulla stessa lunghezza d’onda Mons. Raffaele Pellecchia, Arcivescovo di Sorrento e Vescovo di Castellammare di Stabia, ebbe a sentenziare anni prima: “C’è un modo di amare il povero e l’oppresso. Amare l’oppresso vuol dire aiutarlo a liberarsi dall’oppressione, come amare il ricco, il potente significa aiutarlo a liberarsi dalle sue ingiustizie”. Quale prolungamento esauriente delle sue riflessioni, Mons. Cece proseguiva: “Il radicamento del recupero della legalità nell’etica della persona, evidenzia il primato dell’aspetto educativo nel processo di liberazione dal vecchio e di instaurazione del nuovo, intendendo per nuovo ciò che promuove i valori umani e per vecchio ciò che vi si oppone. Non basta annunciare i valori, non è sufficiente la protesta, occorre la proposta; non si può stare in atteggiamento accusatorio senza sentirsi in qualche modo corresponsabili. L’uomo non può vivere solo di giustizia, ha bisogno anche dell’amore. È la via di Cristo. No ai protagonismi antagonistici. L’educazione alla fede rispetti anche la dimensione culturale dell’uomo.” Da Paolino di Nola ad Antonino di Sorrento, uguali le aspirazioni ad una vita di contemplazione ed azione, Mons. Cece si sentì padre di una comunità di santi.  “Io sono padre per l’età”, scrive San Paolino nei suoi Carmi in esametri composti annualmente nell’occasione della Festa di San Felice, il 14 gennaio. Dinanzi all’armonia di coloro che sente di avere in qualche modo generato, questo l’invito di Paolino: “Magnificate Dio con me. Come i salteri a dieci corde risuonano al tocco delle corde e queste, pur avendo un suono diverso, si fondono in ritmi armoniosi, così risuoni la santa lira della nostra comunità fiorita nel grembo di Felice a Nola e Cimitile, intorno alla sua tomba. O felice discendenza. Felice sarà il plettro per questa cetra. Con questo plettro, Cristo esultante toccherà la cetra a dieci corde. Questa cetra toccata da Cristo, risuonerà in noi in piena armonia con perfetti sentimenti, se la nostra pace sarà in tutte le fibre concorde con Dio, in modo da essere uniti nel corpo, nella mente, nella fede. Fu questa e la sola che rammentiamo sacerdoti, religiosi, diaconi e laici, l’Unità che l’Arcivescovo Felice Cece desiderò raggiungere in un solo amplesso con la Chiesa sposa di Sorrento-Castellammare di Stabia durante il ministero episcopale, ovvero fin dal giorno della sua ordinazione a vescovo e della quale commemoriamo oggi il 36° anniversario. Tempora bona habeant redempti sanguine Christi! Feliciter! Pax Christi veniat! Godano di tempi favorevoli i redenti dal Sangue di Cristo! In abbondanza, evviva! Venga la Pace di Cristo!

 

 

 

 

 

Gaetano Milone

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