Nascita di un poeta maledetto: Charles Baudelaire.
Parigi, appariscente, lussuriosa, barocca, diviene la culla di ideologie rampanti, nutrite dalla continua, malsana, disgregazione dell’animo. Il nove Aprile, del mille ottocento vent’uno, vide la luce Charles Pierre Baudelaire, sagoma ammaliata dall’ignoto, osservatore acuto della decadenza umana e allevatore dell’ozio. La pigra giovinezza diede quadro di una personalità furibonda, la frequenza, assidua di circoli letterari sedimentarono la bramosa volontà di voler dipingere, usufruendo della narrazione, i cunicoli, meandri, assopiti nell’uomo. La stagione del quarantatré, cimentò la creazione del: “Clubes des Hashischins”, nel quale, volteggiavano letterati, poeti adulatori di esperienze esplorative recondite generate dall’uso di droghe. Cantori del piacere, lasciavano che tale sensazione venisse sensualmente sedotta dalla danzante nascita di sonetti, costrutti poetici i quali fecero entrare nell’olimpo della letteratura il Decadentismo. Prosciugati di lacrime passate, predatori della notte, i decadenti scolpivano con amorevole voracità la quotidianità, nutrendosi al sibilante suono della carnalità. “La Venere nera”, nuota affannosamente nello stagno letterario di Baudelaire, essa, di nome: Jeanne Duval, danzatrice a attrice teatrale, folgorò l’animo del poeta rapendolo in una burrascosa tempesta d’amore culminata con l’abbandono, il dandy, si offre narratore della tirannide femminile, del masochismo di umana natura e della fragile pietà religiosa nella celebre raccolta:”I fori del male” risalente al cinquantasette. Opera di scandalo sociale, alimentò sdegno, clamore, in un susseguirsi, di rappresentazioni maciullate di vita genuflessa al volere del torrido peccato. Le indomabili figure, in simbiosi, divengono memoria di eroiche gesta antiche, riecheggiando, la desolata frustrazione umana. Il valzer, nel quale, la sua vita frugalmente ha danzato, dona sensibile riflessione divenendo parafrasi dell’essere, occulto amuleto perduto, gioia insaziabile mitizzandosi in “tempio in cui viventi colonne lasciano talvolta sfuggire confuse parole”.