DANTEDÌ – 25 marzo 2020
“ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m’insegnavate come l’uom s’etterna:
e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo
convien che ne la mia lingua si scerna”
”
(Inferno – Canto XV, vv. 82-87- Incontro con Brunetto Latini, suo maestro)
CANTO DIVINO DI UN DOCENTE OPLONTINO
Ma sta maronna ‘e didattica a distanza,
ch’a mme me pare nu’ quatro ‘e luntananza,
è fatta p’ ‘e pperzone senza core
e ll’ommo senza core se nne more
.
Forze sarraggio io ca song’ antico
ma mme pigliasse ‘o libbro comme amico.
Sulo accussì me mpararria a ppenzà,
e senza parlà, a vverè senza guardà;
me mpararria a sentì senza remmore
chella ca nce sta nchiuso ‘int’a nu core,
‘o tuio, ‘o mio, chillo ‘e tutt’e quante,
da ‘o pover’ommo al grande patre Dante
.
NOTE
maronna: lett. “Madonna”, ma non nel senso dantesco. Neanche niente di blasfemo. Anzi, in una terra ricca di culti mariani, antichi e presenti, tra devozione e superstizione, il termine, senza correlativi semantici stretti, viene usato come rafforzativo del pensiero, come enfatizzazione del progetto comunicativo. Una manifestazione dell’intensità del coinvolgimento emotivo; un intervento diretto – persino automatico – della coscienza. Sovente, come in questo caso, si può rendere sinteticamente con “benedetta”, ma con tutte le implicazioni elencate..
quatro ‘e luntananza: “quadro visto da lontano”. Si dice di cosa che sembra, a guardarla da lontano, appunto, estremamente attraente, ma che a una più prossima verifica desta qualche perplessità , mostrando dei limiti oggettivi di bellezza e convenienza. Sinonimo, ma parziale,
miraggio, nel senso non di evanescente, quanto di “non corrispondente alle aspettative maturate”. Si usava spesso, in una cultura maschilista, per indicare una donna avvenente, ma sol da lungi (“…e poi vidi venir da lungi Amore” , ma qui non ci furono sorprese…). Una variante “colta” – per restare in ambito scolastico è “ Dietro liceo, davanti museo”.
In realtà non trovo immagine migliore, a rendere l’espressione, di uno splendido paesaggio, un
luogo meraviglioso, magari riprodotto da grandi artisti,ma che, a viverci, a farne parte, si
dimostra un “paradiso dato ad habitare a diavoli” secondo un’ antica espressione , documentata,
per la prima volta in una lettera del 1539 di Bernardino Daniello, letterato e autore di un
commento sulla Divina Commedia.
se nne more: delicatissima espressione che solo un animo rozzo potrebbe “tradurre” con
“ si lascia morire”, “ si lascia andare ”. Sicuramente più adatto un tautologico “ se ne muore”, dove tutta la densità è in due lettere, in una particella singolare ed unica del nostro codice lingua, “ne”. Se ne muore.
Che è come dire consegnarsi al destino ma dominandolo, amandolo invece di subirlo.
Non semplicemente sceglierlo.
In sintesi, amare la Vita in tutte le sue forme. Persino in quella che si crede essere la sua negazione. Ma che, invece, ne garantisce l’eternità. La Morte.
Dell’ espressione sopravvive traccia anche nei testi dei neomelodici. E col medesimo senso.
libbro: libro. Naturalmente la sua etimologia non ha nulla a che vedere con libero, libertà. Uno di quei rari casi in cui le parole mentono. Anzi, confermano il loro potere assoluto, che va al di là della sua stessa storia, sostanza, significato, che si dimostra capace di autorizzare gli effetti con un falso racconto, di moltiplicarne il senso, inventare il futuro e anche ciò che nel futuro non ci sarà mai. Perché è così. Il libro,i libri rendono liberi ed eterni. Basta leggerne qualcuno. Per piacere di vivere. Non per dovere di salute.
senza remmore: senza rumore. In silenzio. Lo stesso che ci avvolge adesso.Non l’assoluto “vuoto pneumatico”. No! Impazziremmo. Ma quello della mente. Al quale siamo da sempre abituati. Quello che ci fa pensare senza parlare, appunto. E vedere anche ad occhi chiusi. E sentire nel silenzio dei respiri. Il silenzio delle case. Quello del frigo che ricarica. Del volo d’uccelli al di là dei vetri. Del fragore dei ricordi che quelli accanto neanche immaginano. Estranei, in quel momento, eppure fratelli. In quel momento, al par i di tutti gli altri.
core : cuore, ovviamente. Il muscolo più celebrato nella storia dell’Umanità. Se il fegato è sinonimo di coraggio e il cervello di genialità, il cuore è la Vita stessa. E se la scienza ne ha fatto oggetto di sostituzione col trapianto, non per questo la civiltà l’ha avvicendato nelle
gerarchie. Del resto ci accompagna per l’intera esistenza. Senza dare quasi mai fastidio. Ci asseconda, variando il ritmo di impegno, in tutte le avventure. Lavora senza ricordarcelo. Senza lamentarsi. Anzi senza nemmeno farsi sentire. Se non quando proprio è necessario. Per una gioia improvvisa, un dolore inaspettato. Addirittura per un progetto, un sogno appena accennato. Per un amore sbocciato. Per una rabbia ingovernabile. Sempre accanto a noi. Dentro di noi.
Perciò senza “core ll’ommo se nne more”
.
“Allor fu la paura un poco queta
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’ i’ passai con tanta pièta”
(Inferno–Canto I, vv. 19 -21)
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