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NAPOLI, GALLERIA WESPACE: DAL 7 AL 14 FEBBRAIO COLLETTIVA D'ARTE "QUINTA DIMENSIONE" - WEB GIORNALE INDIPENDENTE

NAPOLI, GALLERIA WESPACE: DAL 7 AL 14 FEBBRAIO COLLETTIVA D’ARTE “QUINTA DIMENSIONE”

NAPOLI, GALLERIA WESPACE: DAL 7 AL 14 FEBBRAIO COLLETTIVA D’ARTE “QUINTA DIMENSIONE”

NAPOLI, GALLERIA WESPACE: DAL 7 AL 14 FEBBRAIO COLLETTIVA D’ARTE “QUINTA DIMENSIONE”

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Galleria WESPACE

Vico del Vasto a Chiaia, 52 – Napoli

 Collettiva d’arte

“Quinta dimensione”

L’eternità dell’effimero

Vernissage – Venerdì 7 Febbraio ore 18:30

Espongono:

BIGAL

Unberto CAROTENUTO

Crescenzio D’AMBROSIO

Antonio LONGOBARDI

Francesco MATRONE

NEOTTO

Mario SAMMARCO

THc

 Presentazione Felicio IZZO

Quinta dimensione
L’eternità dell’effimero
La logica oppositiva binaria – bianco/nero; destra/sinistra; bene/male… – fondamento del
pensiero occidentale, unisce alla congrua opportunità anche la semplicità di
interpretazione. In particolare, tra le molteplici coppie duali proposte da Jacques Derrida ,
quella Natura/Arte è la più funzionale all’interpretazione della Vita come fugace simulazione dell’eterno.
Una coppia che trova nella scontata dimensione della contrapposizione la sua
giustificazione d’essere. Come se la Natura fosse il noumeno, l’essenza, la cosa primitiva e
primigenia, e l’Arte una sua manipolazione non solo in funzione di mutamento, ma anche in
termini di corruzione. Una sorta di deliberata volontà di defraudarne la purezza. In tal senso,
appunto, si utilizza il termine artefatto, nell’accezione di adulterato, contraffatto, falsificato.
Viceversa l’Arte non può che essere scarto, effimero residuo dell’umana operosità. Non
silloge di eteree intuizioni, inerzia di associazioni orientate dall’istinto. Ma scoria di pensieri
che si adeguano alla materia; una sofferta spoliazione del tempo anche a venire. E in quanto
attività superflua, senza alcuna connessione con le funzioni vitali e indispensabili alla
sopravvivenza, non può diventare altro. In quanto è già altro.
La sua speranza di futuro non può che durare il tempo della realizzazione, vivere la
sicurezza e la redenzione del gesto compiuto, celebrarne la morte col banchetto delle
spoglie. Non può che essere in quel momento, e per sempre, fonte di piacere per se stessa.
Hic et semper. Persino dove “sunt leones” ad evocare luoghi che potrebbero identificarsi
con gli universi paralleli della quinta dimensione.
Perché lo spazio – quello del mondo sensibile, immediatamente percepibile – non è una
stanza con delle pareti e un tetto, né il tempo (la quarta dimensione postduchampiana) la
luce che la illumina. Ma, insieme, costituiscono, un’unica sostanza, fluida e trasparente,
fatta di onde e attrazioni, e granuli, ad osservarli al microscopio, in perenne vibrazione,
sostanza nella quale siamo immersi. Noi, fatti della stessa materia. La scienza parla di
cronotopo, continuum spazio-temporale; la poesia di “sogno”, indefinito grumo sospeso tra
il cielo e la terra
Ecco, allora, che la quinta dimensione, evocata nel titolo, non ne costituisce il
superamento, ma sancisce la supremazia, nell’atto creativo assoluto, del big bounce – il
grande rimbalzo – sul big bang. Nella sua ricorsività l’Universo sembra confermare l’antico
principio della conservazione della massa, quello della trasformazione come postulato
dell’eternità. E l’Arte, quella che occasionalmente, nella grammatica quantistica
dell’indeterminismo, si identifica con i nostri otto artisti, ne è l’araldo.
“La salvezza è l’eternità!” sembrano dirci le loro opere. Indipendentemente dalla tematica,
dalla tecnica, dai materiali utilizzati. Se la pittura nasce come volontà di raffigurare
un’assenza e la scultura come illusione di farne un simulacro, tutte le volte che il gesto si
rinnova, si ridetermina l’occasione passata, si pronostica quella prossima.
Il tempo si fa istantaneo.​
Niente più accumuli o affastellamenti. Né riusi o ricicli o recuperi. E nemmeno inutili
richiami alla durabilità degli oggetti di consumo. E men che meno geremiadi sul
consumismo che tutti coltiviamo nell’anima come una pulsione di morte alla quale, con una
voluttà che alterna senno e prudenza, follia e commiserazione, non riusciamo a sottrarci.
L’Arte non ha bisogno di scarti per glorificarne, nella ricreazione, nell’assemblata
ibridazione, l’anima espressiva, perennemente espressiva.
Perché l’Arte è la scoria più nobile dell’Uomo. Con l’orgoglio della sua impura e blasfema
orma di divinità. Da sempre effimero punto dell’eternità; veranda di luce sul vuoto del
tempo simultaneo.
La si può ordinare, nel computo, come quinta dimensione? Non ha importanza!
L’interrogativo resta: “Ma come si fa a non capire l’unica, esclusiva, vera lezione dell’Arte?”
Se si mettessero insieme tutte le tele del mondo e della storia del mondo, e i marmi e i libri,
e gli spartiti, si formerebbe un gigantesco ziqqurat capace di innalzarci sino al cielo. Lì dove
pure si arriva tutte le volte che pensiamo, anche solo come oscura ma esaltante
premonizione, a qualcosa di effimero che abbia una forma, un colore, un suono, un segno,
come pegno dell’eterno.
Lì, dove, nella fluida trasparenza del tempo non più tempo, le miserie degli uomini, nella
natura che non smette di ospitarli, appaiono come un unico punto, di atomi in perenne
movimento. Ma antico e sereno. Finalmente ordinato. In un senso di pace che rassicura.
Nel momento dello sguardo. E del sentire profondo del cuore.

Gaetano Milone

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