In Penisola Sorrentina, da Meta a Casarlano, passando per Sant’Agnello, davvero forte è la devozione verso il vescovo e martire di origini orientali Biagio, la cui morte risale, curiosamente, a dopo l’editto del 313 d.C. dell’Imperatore Romano Costantino, che consentiva ai cristiani di professare liberamente la fede.
La spiegazione di questo evento, che mostra come la persecuzione dei cristiani continuò anche dopo il fatidico e trionfale 313, si deve ricercare, probabilmente, nelle motivazioni che portarono al contrasto tra Costantino e il cognato Licinio, marito della sorella, che rivendicava il comando della parte orientale dell’Impero.
Queste lotte interne e fratricide, che terminarono con l’uccisione Licinio, determinarono moltissimi e gravi disordini, la distruzione di alcuni edifici sacri, la condanna a morte di alcuni cristiani, tra cui molti Vescovi.
Il Vescovo Biagio, che prima di guidare la diocesi di Sebaste era stato un apprezzato medico, avendo rifiutato l’ordine di convertirsi al paganesimo, venne scorticato vivo, con i pettini di ferro che si usavano per districare la lana, e, infine, decapitato il 3 febbraio 316.
Sia in Oriente, che in Occidente il suo culto tributato a San Biagio andò diffondendosi già alla sua morte: aveva salvato un bambino da un soffocamento, causato da una lisca di pesce, fermatasi nella trachea, fu ben presto invocato per guarire i malanni della gola, con un particolare rituale.
Il medico dell’antichità Ezio di Amida fu il primo, nelle sue opere, a spiegare come curare i mali della gola invocando San Biagio: “Se la spina o l’osso non volesse uscire fuori – scrisse Ezio – volgiti all’ammalato e digli «Esci fuori, osso [..] esci come Lazzaro alla voce di Cristo uscì dal sepolcro, e Giona dal ventre della balena.» Ovvero fatto sull’ammalato il segno della croce, puoi proferire le parole che Biagio martire e servo di Cristo usava dire in simili casi «O ascendi o discendi” (Ezio di Amida, Opus medicum libris XVI).
Il rito della benedizione della gola, in cui si invoca l’intercessione di San Biagio facendo uso di due candele incrociate (benedette il giorno prima durante la Candelora) o di olio benedetto, fa riferimento appunto all’episodio del fanciullo, salvato dalla lisca di pesce conficcatasi in gola.
La Cappella di San Biagio a Casarlano, posta più precisamente all’incrocio tra via Baranica, via Cala e via Rivezzoli, fu fondata in epoca immemorabile: accorpata alla sontuosa villa Olimpia, probabilmente faceva parte di un complesso agricolo di qualche importante famiglia nobiliare sorrentina. La chiesetta era gestita da una cosiddetta “mastria di laici”, formata da abitanti del casale eletti annualmente per provvedere alla cura e al mantenimento dei luogo sacro. Sempre nella cappella di San Biagio aveva sede il Monte della famiglia Anfora: un’istituzione caritativa fondata nel 1600 dal nobile sorrentino Antonino Anfora per elargire a fanciulle povere di Casarlano una dote per farle maritare dignitosamente. Nel 2010, dopo molti anni di chiusura per lavori, la chiesetta, tornata al suo antico splendore, ha riaperto i battenti: sull’altare maggiore si venera la preziosa statua lignea di San Biagio, che attende coloro che vogliono preservarsi dai mali della gola con l’antichissimo rito delle candele incrociate.