IL PRESEPE NAPOLETANO E QUELLO MASSESE

IL PRESEPE NAPOLETANO E QUELLO MASSESE

IL PRESEPE NAPOLETANO E QUELLO MASSESE

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Capita molto più spesso di quello che pensiamo: senza averne pienamente coscienza, infatti, siamo soliti portare avanti tradizioni molto più antiche di quello che immaginiamo. L’avvicinarsi del Natale, ci invita a riflettere sulla nostra storia e sulle nostre tradizioni, soprattutto su quelle diffuse nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità. In una scena televisiva di Natale in casa Cupiello, celeberrima opera di Eduardo de Filippo, Concetta (magistralmente interpretata da Pupella Maggio), la poco simpatica moglie di Lucariello (Eduardo stesso), rimprovera al marito una colpa singolare: è troppo preso dalla costruzione del “presepio”, quasi stesse portando avanti un’opera titanica alla quale l’intera famiglia dovrebbe dedicarsi, tralasciando tutto il resto. Eduardo fa dire al suo Luca Cupiello, palesemente risentito, alcune battute tra le più celebri del teatro italiano: il presepio è una tradizione, un gesto d’amore che un padre trasmette ai figli così come lui lo ha ricevuto da suo padre, giungendo a ritroso per generazioni e generazioni quasi fino alla nascita di Gesù stesso. In queste parole si trova racchiusa una storia millenaria, tutta cristiana ovviamente: la storia del presepe. Per la tradizione, l’inventore del presepe fu San Francesco d’Assisi (XIII sec.): a Greccio, infatti, il “Santo con le stimmate” fu il primo ad introdurre la rappresentazione vivente della Natività, per ricordare ai cristiani, attraverso delle “figure vive”, la tenerezza e l’importanza dell’evento. Ma la patria del presepe è molto più a sud: a Napoli, cattolicissima ma inquieta capitale,  dove tra ‘600 e ‘700 esplose la moda del presepe di terracotte dipinte a mano, ricco di figure, situazioni, mestieri e…contaminazioni. Eppure Massa Lubrense giocò un ruolo non secondario nella storia del Presepe: il padre gesuita Vincenzo Maggio, massese di nascita e fondatore del collegio del Gesù sito alla Villarca (1600), veniva ricordato da uno storico dello stesso ordine come “uomo di distinta pietà, illustrato da Dio con visioni e con miracoli”,ma anche per essere stato “il primo ad introdurre in Napoli la nascita di Gesù Cristo nel presepio”. Al di là di questa notizia, suggestiva ma oscura allo stesso tempo, infatti ci pare difficile immaginare un presepe senza natività, Massa Lubrense aspettava il Natale intorno ad un presepe sin dal ‘400: un notaio sorrentino, Giovanni Raparo, le cui carte sono confluite nei corpus documentari di alcuni notai aversani dello stesso secolo, attraverso la sua attività ci ha tramandato una storia natalizia sorprendente. Un contratto del 1436, rogato dal Raparo, parla chiaro: alcuni confratelli massesi, che curavano il decoro di un altare sito nella Chiesa della Misericordia di Massa Lubrense (a S. Maria), chiesero al frate benedettino Andrea da Nocera di costruire diciotto statuine lignee, per il mese di novembre, per allestire un suggestivo presepio in una cripta della chiesa. A leggere queste carte si rimane stupiti: come è possibile che già nella Massa del’400 fosse diffusa una tradizione che tuttora mettiamo in pratica nelle nostre case? Nell’atto, scritto in un latino in parte volgarizzato, i confratelli chiedevano delle statuine ben precise, da inserire in una suggestiva scena: un Bambinello con il capo dorato, la Madonna, san Giuseppe, i pastori, un bue, l’asinello, gli angeli ecc. Una testimonianza fantastica: attraverso un freddo documento notarile possiamo immaginare uno spaccato di vita del passato carico di emozioni. Una vera e propia fotografia, quella che il notaio ci tramanda, quasi una macchina del tempo che ci restituisce questo gesto d’amore, di fede e di cultura che è l’allestimento del presepe, e che ci lega ancora di più con i nostri antenati, che aspettavano il Natale alla nostra stessa maniera. E Massa Lubrense non sembra essersi dimenticata di questa tradizione: fino ad alcuni anni fa a Torca si teneva un suggestivo quanto elaborato presepe vivente, che si dipanava per tutto il centro storico, oggi sostituito da un presepe vivente interpretato dai bambini. Ma soprattutto le nostre chiese sono rimaste il luogo ideale dove allestire sacre rappresentazioni della Natività: a Sant’Agata sui due Golfi viene allestito un magnifico presepe, ma da oltre un cinquantennio il vero decano dei “presepisti” massesi è Dino Sannino, sacrestano dell’ex cattedrale Santa Maria delle Grazie. Il suo presepe, allestito con l’aiuto di numerosi collaboratori, è un vero e proprio tuffo nel passato: tra magnifici pastori e suggestive scene, Dino senza saperlo compie un atto d’amore verso le nostre tradizioni, attestato da più di seicento anni. Ammirando i nostri presepi possiamo sognare ad occhi aperti, ed immaginare i nostri antenati del’400 recarsi alla messa di Natale, stringersi anch’essi attorno al presepe per aspettare la nascita di Gesù e poi scambiarsi gli auguri, così come facciamo noi a seicento anni di distanza. Il presepe, dunque, più che opera d’arte, è un patrimonio intangibile: una tradizione che ci lega direttamente al passato e allo stesso sentire interiore dell’essere umano, sempre più spersonalizzato nell’odierna società. Rivedendo il presepe di Dino a Massa o quello nell’ulivo plurisecolare di Marciano (allestito da Raffaele Lombardi) possiamo ripensare a Natale in casa Cupiello, quando Concetta dice al marito “ma che o’fai a fa stu presepio, tiemp e denaro buttato” e rispondere tra noi e noi “perchè è una tradizione” e oggi più di seicento anni fa “ce piace o’presepio”.

Gennaro Galano

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