MASSA LUBRENSE – L’amore per le proprie radice ed il doveroso filiale ricordo di chi ha tanto “fatto” e “donato” alle nostre comunità, queste le motivazioni che hanno spinto don Francesco Saverio Casa – rettore della chiesa di San Paolo Apostolo in Sorrento, sacerdote sensibile ed appassionato cultore della storia patria, a curare la ristampa anastatica di un bel volumetto: “Cenni storici dell’antica e miracolosa immagine di – Nostra Signora delle Grazie – che si venera nella Parrocchiale Chiesa di Pastena in Massalubrense – per il parroco Francesco Saverio Castellano”; già edito a Napoli dallo Stabilimento Tipografico G. Cozzolino & C. nel 1901.
Nobilissimo l’intento della ristampa.
Infatti, essa è finalizzata al sostegno dei bambini bisognosi di cure presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma, non trascurando certamente di volgere lo sguardo al passato che sempre ci é proprio.
La ristampa è stata gestita dalle Edizione Graphium di Sant’Agata sui due Golfi, si è potuta realizzare, tra gli altri, anche grazie al contributo della Tabaccheria Pastena e della Macelleria Orlando.
Essa riporta in antitesi la seguente dedica da parte di Don Francesco Saverio Casa:
A Luigi e Maria Castellano, chiamati col medesimo nome di battesimo dei miei genitori. Con stima augurante.
Nel comune ricordo del Parroco di Pastena e Canonico del Capitolo dell’Ex-Cattedrale di Massa Lubrense, Don Agnello Castellano.
Molto bella e coinvolgente anche la breve presentazione, che lo stesso Don Saverio ha curato, della quale ci piace riportare segue.
In una magistrale lezione che il Prof. Marco Tangheroni tenne a Ferrara nel 1998 – l’occasione era data dall’inaugurazione della Scuola di Educazione Civile – cosi si espresse:
“Se, ad esempio, camminiamo per Via dei Fori Imperiali la Roma, avvertiamo certamente di essere di fronte ad una grande civiltà, ma anche alle sue rovine. Al contrario le cattedrali in cui oggi preghiamo sono ancora le cattedrali costruite nel Medioevo. Il vicinato è un bellissimo esempio di continuità non solo di un concetto, ma anche di una realtà. Per avvicinarmi ulteriormente al concetto di comunità di destino, faccio ricorso ad un altro esempio, quello di una nave e in particolar modo di una nave medievale.
Pensate che Cristoforo Colombo é andato in America con una nave ammiraglia che poteva stazzare centoventi tonnellate e solo settanta le altre due caravelle. Si trattava veramente di gusci di noce! Molti non sanno che nella fase centrale del Medioevo – e quindi anche all’epoca della grande espansione delle città marinare come Pisa, Genova e Venezia – nella conduzione di queste navi il capitano non possedeva un “imperium assoluto”, a differenza dell’età moderna ed anche di quella antica. Se ad esempio c’era la necessità di scegliere se affrontare una tempesta o rifugiarsi nel porto più vicino oppure se fuggire di fronte ad una nave corsara o attaccarla, il capitano non poteva prendere lui solo la decisione, ma doveva consultare tutti quelli che erano a bordo, compresi i mercanti con le loro merci. La nave è un bell’esempio di comunità di destino. Tutti coloro che sono a bordo di questo guscio di noce affrontano insieme quella che nel Medioevo si chiamava la “fortuna di mare”, avendo in comune le prospettive e le speranze per le quali si sono imbarcati. Poiché sono tanti i luoghi comuni sul Medioevo penso non sia inutile ricordare che anche i rematori delle galere erano degli uomini liberi, dei salariati, quindi dei marinai e che è solo con l’età moderna che sono stati utilizzati i prigionieri. Anche
i rematori avevano dunque diritto a partecipare alle decisioni, poiché erano membri di questa comunità di destino che e bene illustrata da questi versi di La Fontune: “Se il tuo vicino viene a morire, è su di te che cade il fardello”, a significare che la crisi di una famiglia o di un certo settore alla fine viene a colpire tutti. Facciamo ora un passo avanti mediante uno citazione di Son Tommaso: “L’uomo non appartiene alla comunità nell’interezza dell’essere suo, perché l’interezza deII’essere suo appartiene solo a Dio”, le prospettive dell’uomo non possono esaurirsi all’interno di una comunità, la vocazione dell’uomo all’apertura, all’universalità che é proprio della natura dell’uomo, del soggetto uomo che non può esaurire il suo essere, come un animale di branco, all’interno della comunità. è tanto facile dire: “io amo l’umanità!” e a forza di dire “Io amo l’umanità” si finisce per non amare l’uomo vero e reale che è accaduto a noi, così che molti solidarietà universale non sono poi capaci del più piccolo gesto di concreta solidarietà. Gli uomini sono nati per amare le grandi cose attraverso le piccole. Dunque se da un lato l’uomo per realizzarsi non può essere chiuso, limitato dalla comunità – caratteristica del mondo d’oggi é il dover condividere lo stesso destino anche senza avere medesime idee o medesima visione del mondo – è vero d’altro canto che l’uomo é, secondo una celebre definizione, un animale sociale che sviluppa le sue potenzialità a partire dalla comunità più naturale di tutte, vale a dire la famiglia.
Chi conosce Dante Alighieri sa benissimo che egli ha tre patrie. Firenze innanzitutto – patria certamente ingrata, ma in cui spera di ritornare, un giorno, glorioso – poi l’Italia, presente non solo nella coscienza, ma anche nelle parole di Dante e in fine il mondo. Dunque la comunità di destino é qualcosa di ben diverso da un centro sociale. E’ invece la consapevolezza di essere legati da interessi comuni,da bisogni comuni, da esigenze comuni. Ed é diversa da quella che potremmo chiamare “comunità di somiglianza” la quale può ad esempio legare un operaio di un’industria ferrarese a quello di un’industria marsigliese. Comunità di destino é invece quella che lega in un tessuto sociale concreto, che lega dei destini appunto”.
L’intento dell’opera dedicate alla Comunità Parrocchiale di Pastera, è stato voluto ed ampiamente giustificato anche per due altri sommi motivi: l’uno di carattere più propriamente storico, il secondo quale espressione di ringraziamento e di encomio ai Parroci di Pastena defunti, per il loro ministero pastorale svolto a servizio della Comunità Parrocchiale di San Paolo Apostolo. Quando mai attuali le parole profetiche del profeta Isaia, il quale ci ricorda la nella Sacra Scrittura al capitolo 58, versetto 7: “Dividi il pane con l’affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi é nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente”. Grato a Dio che mi ha concesso di aver avuto tra le mani questo mirabile scritto, edito il 30 maggio del 1900, e grato soprattutto a coloro che ne hanno reso possibile la divulgazione e il lavoro di impaginazione e di stampa con la loro spontanea generosità, auguro a tutti i fedeli della Comunità Parrocchiale i guidata dal Parroco Don Daniele Pollio e dal Vicario Parrocchiale Don Michele Inserra, un’edificante lettura can i due occhi, e cioè quello della storia e quello della fede. Perché nessuno può vedere senza l’altro.
Il bel volumetto, sarà presentato a breve, per ragioni logistiche non è stata ancora decisa la data, sicuramente ne daremo ampia notizia.