Berlino – Per l’ortofrutta italiana, il 2017 si è chiuso con una bilancia attiva per un miliardo di euro con 3,7 milioni di tonnellate di merce in esportazione e 2,9 in importazione. Il fatturato in export è stato nel 2017 di 5 miliardi (4,7 nel 2016). L’Italia è il terzo esportatore europeo, prima è la Spagna (13 miliardi), seguono i Paesi Bassi grazie alla lavorazione e riesportazione nel porto di Rotterdam.
L’Italia esporta per l’85% in Europa, il 40% è diretto in Germania: «Con l’embargo russo – spiega Carlo Bianchi, coordinatore di Fruitimprese, l’associazione a supporto dell’import-export nel settore – abbiamo perso la principale destinazione extra-europea dei nostri prodotti. Per questo stiamo lavorando per aprirci a nuovi mercati» come ad esempio la Cina, ma anche Taiwan, il Vietnam e il Messico dopo le restrizioni doganali del governo Trump. Ma la strada non è tutt’altro che facile: «L’esportazione di ortofrutta – spiega Bianchi – è basata su protocolli sanitari tra singoli Paesi, essenzialmente per evitare la diffusione di batteri e malattie. Classico esempio è la mosca mediterranea, endemica da noi ma non in altre parti del mondo. L’Italia deve garantire che la frutta in uscita dal Paese non sia portatrice di questo parassita». Per la loro delicatezza, i protocolli richiedono anni di preparazione («anche sette, otto») e spesso sotto le motivazioni sanitarie nascondono questioni più meramente politiche e commerciali.
La Cina ha un protocollo per ogni frutto, ma visto il potenziale bacino di consumo, è un percorso che vale la pena di intraprendere: da cinque anni c’è il via libera ai kiwi italiani, due anni fa è stata la volta degli agrumi, oggi si tratta sulle pere. I protocolli vanno aggiornati, e una volta conclusi molto spesso proseguono le trattative per migliorarne le condizioni.
Ma la Cina «apre una fase di svolta anche nel mondo della logistica – spiega Simona Rubbia, Progettazione e legislazione del Centro servizi ortofrutticoli, la principale cooperativa di servizi alle imprese del settore -. Il trattamento a freddo per l’eliminazione dei parassiti dalla nostra frutta può essere effettuato sia in centri dedicati o anche durante la navigazione. L’ortofrutta deve viaggiare entro un arco di tempo stabilito, specie per l’Italia che deve puntare sulla qualità. Ma oggi far arrivare un carico di arance via nave dall’Italia alla Cina in meno di 40-45 giorni è difficile». Effetto della razionalizzazione delle linee e delle politiche sul risparmio di carburante. «Fino a qualche anno fa – ricorda Rubbi – era ancora possibile qualche collegamento in tempi minori, ma noi non possiamo tenere delle arance per 45 giorni su una nave. Per questo a marzo invieremo un container di frutta su treno, dall’interporto di Mortara fino in Cina via Duisburg: 20-25 giorni. E’ una sperimentazione: da quello sin qui studiato, il costo dovrebbe essere doppio rispetto a quello via nave, e c’è un problema di trasbordo al confine russo per via del diverso scartamento dei binari, così come esiste una questione burocratica per i passaggi di confine. Il costo è circa il doppio rispetto a quello del trasporto su nave. Credo che oggi, se una compagnia di navigazione proponesse un servizio Europa – Asia con tempi più ridotti superando il timore di proporre un prezzo più alto, troverebbe senz’altro del carico».
Mentre in Italia si discute tra domanda e offerta, anche il settore dell’ortofrutta si pone domande sulla logistica digitale: «Per noi è ancora un discorso futuribile, ma vendere in Cina comporta tenere conto di questo fattore – dice Rubbia – perché la vendita in rete su quell’area è già molto sviluppata».
«A Shanghai – spiega Harrij Schmeitz, del Fresh International Management Center – è già in sperimentazione un supermercato digitale, senza personale, dove l’acquirente apre il negozio, compra, passa alle casse e paga usando sul telefono. Al di là di questo, già oggi lo sviluppo della spesa da casa comporta per produttore e venditore una particolare proprio attenzione all’ortofrutta. Se la spesa arriva schiacciata o il prodotto non è di qualità, difficilmente l’acquirente darà una seconda possibilità».