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CAPRI : RAFFAELE VACCA RICORDA BENEDETTO CROCE NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA - WEB GIORNALE INDIPENDENTE

CAPRI : RAFFAELE VACCA RICORDA BENEDETTO CROCE NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA

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BENEDETTO CROCE, CITTADINO ONORARIO DELL’ISOLA DI CAPRI,
NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA NASCITA

Benedetto Croce è un nome che ad Anacapri quasi tutti conoscono,
giacché a lui è intitolata la Scuola Elementare Statale Comunale
che si trova a Caprile.
La Scuola Elementare Parificata delle Suore Elisabettine Bigie è
invece intitolata a San Ludovico da Casoria, nel cui Istituto della
Carità di Napoli Benedetto Croce frequentò il Ginnasio e poi, da
privatista, il Liceo.
Nel febbraio del 1937, mentre soggiornava nella Villa Smeraldo di
Tragara dove, oltre a correggere bozze, conversava con amici come
Alessandro Casati, Giuseppe Laterza e Piero Gadda Conti,
Benedetto Croce, accompagnato da Edwin Cerio, venne ad
Anacapri per visitare Villa Orlandi.
Ad Anacapri per andare nella casetta di Giuseppe Brindisi a
Caprile tornò varie volte durante la sua permanenza a Capri, durata
dal 15 settembre al 19 ottobre 1943. Vi era venuto di notte da
Sorrento, dove soggiornava, su consiglio e con l’aiuto di Giuseppe
Brindisi e Malcom Munthe, i quali temevano che potesse essere
prelevato dai nazisti e deportato.
Dapprima, con la moglie Adele e le figlie Elena, Alda, Lidia e
Silvia, prese alloggio all’Albergo Morgano, poi, il 19 settembre, si
trasferì nella Villa Oliveto di Unghia Marina, che apparteneva a
Luigi Albertini, già proprietario e direttore del “Corriere della sera”.
La villa era dotata di una fornita biblioteca, intorno vi era un
giardino attraversato da un viale tracciato tra due fila di colonne
bianche senza capitello, che non sorreggevano nessun pergolato.
Come ho ricordato in Note su Capri, già due giorni dopo la sua
venuta nell’isola Benedetto Croce ebbe visite di giornalisti inglesi ed
americani. Si incontrò poi con Alberto Tarchiani, che sarebbe
diventato ambasciatore italiano a Washington e, il 22 settembre,
con il generale Wlliam J. Donovan, al quale propose che si
lasciassero formare legioni di combattenti con la bandiera italiana.
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La proposta fu presentata e appoggiata dal generale presso il
comando americano.
Il 24 settembre all’Oliveto si svolse una riunione alla quale
parteciparono il generale Giuseppe Pavone, Alberto Tarchiani,
Alberto Cianca e Italo Zaniboni. Questi, nel novembre del 1925,
aveva preparato un attentato contro Benito Mussolini. Ma, tradito
da un falso complice, era stato arrestato e condannato. Era stato
liberato dal carcere solo l’8 settembre di quel 1943. Essi decisero la
costituzione di un comitato provvisorio intitolato “Fronte
Nazionale della Liberazione”.
Benedetto Croce si assunse l’incarico di scrivere il Manifesto che,
ritoccato alla luce dei nuovi avvenimenti, fu affisso a Napoli e
dintorni il 10 ottobre. Si concludeva con l’annuncio della
costituzione di “Gruppi italiani combattenti con tricolore italiano”,
che cooperavano con le armate anglo americane per scacciare dal
suolo italiano il comune nemico.
Benedetto Croce era nato il 25 settembre 1866 a Pescasseroli in
Abruzzo.
Il 28 luglio 1883, quando aveva diciassette anni, pur essendo stato
per varie ore sotto le macerie, come il fratello Alfonso era scampato
al terremoto di Casamicciola, durante il quale invece morirono i
genitori e la sorella.
Quantunque, dopo aver conseguito la maturità classica, si fosse
iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma,
aveva iniziato da autodidatta la sua attività intellettuale. Ed a
mano a mano scrisse opere di erudizione, di storia, di filosofia, di
critica letteraria, sapendo che spesso avviene, come sarebbe
avvenuto per lui, che i regolari ovvero i docenti e gli studenti
universitari insegnano ed imparano quello che è venuto dagli
irregolari, ovvero da coloro che non sono stati né docenti né
studenti universitari.
Nel 1903 aveva fondato “La Critica”, la rivista di letteratura,
storia e filosofia che per quarantadue anni diresse e redisse quasi da
solo. Dopo essere stato nominato senatore del Regno, nel 1920,
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quantunque non avesse nessuna laurea, fu nominato da Giovanni
Giolitti Ministro della Pubblica Istruzione. Dopo il periodo fascista
fu eletto deputato alla Costituente e poi al Senato, dove vi restò
come senatore a vita, nominato da Luigi Einaudi, fino alla sua
scomparsa, avvenuta a Napoli il 22 novembre 1952.
Nel 1946 era stato nominato cittadino onorario del Comune
dell’Isola di Capri (che allora comprendeva sia il Comune di Capri
che quello di Anacapri), insieme con il colonnello dell’aviazione
americana Carlo E. Woodward, che dal 1944 al 1945 era stato il
governatore dell’isola, e con lo scrittore Norman Douglas, che era
appena ritornato a Capri.
Nel 1947, in un’ala della vasta casa di Napoli, fondò l’Istituto
Italiano per gli Studi Storici, dotandolo della sua ricchissima
biblioteca. È tuttora in attività ed ospita studiosi italiani e di altre
parti del mondo.
Egli stesso sistemò le sue opere in quarantaquattro volumi ed in
dodici volumi di scritti vari. A questi debbono essere aggiunti
alcuni volumi pubblicati postumi e quelli riguardanti l’Epistolario
ed i Diari.
Nel 1950, accettando una proposta di Raffaele Mattioli, curò
un’antologia di suoi scritti che, con il titolo di Filosofia, poesia,
storia, nel 1951, fu il volume inaugurale della preziosa collana di
classici italiani edita da Riccardo Ricciardi.
Nella prima metà del Novecento Benedetto Croce è stato il
maggior letterato italiano, noto in quasi tutto il mondo.
Dopo quella parziale eclissi che, come notava Romano Guardini,
segue normalmente la scomparsa dei grandi, sia in Italia che
all’estero sta riprendendo l’interesse per la sua opera, tesa sempre
alla “integralità dello spirito umano, che nessuna sua forma esclude
e in nessuno si restringe e riposa, e cerca sempre il bene e , cercando
il bene, cerca insieme il vero e l’utile e il bello, ed esercitando
davvero una virtù, esercita insieme tutte le altre”.
Basterebbe limitarsi a questa affermazione, che è del 1911, per
comprendere chi sia stato Benedetto Croce e che cosa abbia fatto.
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Nelle sue opere ci sono preziose illuminazioni sulla situazione in cui
siamo e su come si sia pervenuti a questa. E preziosi consigli su
come vivere in questa nonostante che egli sia scomparso alla metà
del Novecento.
C’è l’affermazione che la fede è qualcosa di saldo e di assoluto, che
invade tutto il nostro essere e lo muove all’azione e gli dà vigore e
costanza. Non segue ma precede i programmi i quali, quando non
sono ispirati dalla fede, mancano di fondamento.
C’è il constatare che ovunque si scorgono ingiustizie e malvagità, e
sembra che trionfino i furbi, i vili, gli adulatori. Ma con
l’affermazione che ciò è sempre stato e non ha impedito a chi è di
animo forte di conoscere se stesso, e di seguire la sua strada essendo
se stesso.
C’è l’affermazione che siamo in un tempo in cui un susseguirsi di
mode ha fatto smarrire “ciò che è veramente importante e
fondamentale per l’uomo”, ed ha stretto “in orrido connubio
l’energia e la cupidigia, la religione e la sensualità, la nobiltà e la
vanità, la magnificenza e la vacuità”, apportando perturbazioni
nell’animo dei giovani, ed attaccando “le fibre più delicate e le
radici della vita interiore”, a cui non si rimedia con la predica vuota
di spirito.
Se ci domandassimo che cosa in particolare Benedetto Croce, in
occasione del centocinquantesimo anniversario della nascita,
direbbe oggi ai suoi concittadini capresi ed agli amici dell’isola forse
sentiremmo questa risposta: È necessario che nell’isola “si diffondi e
si radichi, più che finora sia accaduto, il sentimento che il miglior
pregio della vita, la maggior soddisfazione che in esso possa provarsi
è data non dalle fortune materiali, non dagli arricchimenti, non dai
gradi conseguiti, non dagli onori, ma dal produrre qualcosa di
obiettivo e di universale, dal promuovere un nuovo e più alto
costume, una nuova e più alta disposizione degli animi e delle
volontà, dal modificare in meglio la società in cui si vive”.
Citando Johann Wolfgang Goethe, del quale tradusse e pubblicò
anche una scelta di liriche, ricorderebbe che, per possedere ciò che si
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è ereditato dai padri, bisogna guadagnarlo con le proprie forze. Ed
aggiungerebbe che il bene, il bello, l’utile, il vero che si sono
acquistati si perdono se non si riacquistano di nuovo
quotidianamente.
RAFFAELE VACCA

Gaetano Milone

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