VICO EQUENSE: LA RUBRICA DEI CITTADINI ILLUSTRI
(A CURA DI GIUSEPPE MAFFUCCI)
SALVATORE APONTE – GIORNALISTA
Salvatore (Totò) Aponte, nacque a Vico Equense 1892, da una stimata e facoltosa famiglia armatori e morì a Parigi nel 1956. Redattore del Giornale d’Italia dal 1910 al 1924, poi corrispondente da Mosca della Gazzetta del Popolo, fu mandato dal Corriere della Sera in Russia dal 1926 al 1930 con parentesi in Cina (1927) e in Germania (1929). Dal 1930 al 1943 fu corrispondente da Parigi, città in cui rimase anche nel secondo dopoguerra come corrispondente del Tempo di Roma. Persona colta, lasciò alcuni libri tra cui uno studio incompiuto su Marcel Proust. Nei quattro anni trascorsi nella Russia stalinista Aponte riuscì a introdursi negli ambienti della burocrazia e del partito sovietici, tanto da poter mandare al “ Corriere” elenchi aggiornati dei membri delle varie associazioni, sindacati e ministeri. Riuscì inoltre a procurarsi il testo integrale del testamento di Lenin (25 novembre 1927), nonché opuscoli clandestini dell’opposizione. Nel 1928 cominciò ad essere sospettato dalle autorità, che lo fecero poi espellere dal Paese. Elegante, colto, raffinato nei comportamenti, rassomigliava al celebre Totò ed era facile scambiarlo per il grande attore comico napoletano, che imitava molto bene e spesso capitava che, scherzando, si presentasse come il ” principe de Curtis”. Salvatore Aponte fu singolare personaggio, corrispondente da Mosca per il Corriere della Sera nel periodo più convulso della dittatura di Stalin, e ciò che colpisce ancora oggi leggendo le sue corrispondenze, e la cadenza scespiriana della lunga lotta per il potere che vedrà contrapposti Stalin a Trockj.
Nel dicembre del 1927, sulle prime pagine del Corriere della Sera, Salvatore Aponte pubblica, per primo in Italia, il testo integrale del “ testamento di Lenin”, così come sono sempre incisivi i suoi reportage , affascinato com’è dallo scontro che si svolge nelle segrete stanze del Cremlino.
Le corrispondenze da Mosca di Salvatore Aponte ci portano nel vivo della lotta politica apertasi all’interno del partito comunista russo dopo la morte di Lenin. In particolare, nel conflitto per la “ successione” e nello scontro frontale fra Stalin e Trockij per la guida del partito, grande importanza riveste la storia testuale del cosiddetto ” testamento” di Lenin : La genesi di questo documento e delle sue varianti, la sua diffusione, la storia della sua ricezione nella stampa italiana e internazionale, il ruolo di Salvatore Aponte nella trasmissione del testo originale, in Italia, sono state oggetto di una accurata e approfondita ricostruzione del giornalista del Corriere della sera Luciano Canfora , in un suo ampio saggio che, introduceva un’antologia di articoli e di carteggi di quegli anni – finora inediti – fra l’Aponte e la Direzione del Corriere. In questo prezioso lavoro è stata raccontata l’appassionata vicenda di una “ lettera non spedita”.
Il giornalista, che dopo Mosca manderà al Corriere articoli, da prima linea, dall’Eritrea, dall’Albania, dalla Grecia seguendo le sconfitte dell’esercito italiano, verrà messo in quarantena il 2 marzo 1945 dell’alto commissario per l’epurazione Ruggiero Greco con l’accusa di apologia del fascismo, nel suo ruolo di corrispondente dai fronti di guerra e come radio – commentatore politico per l’Eiar.
Muore nel 1956 a Parigi e Indro Montanelli ne tesse sul Corriere della Sera l’elogio ricordando di lui, al di là delle discutibili scelte di campo, la sostanziale onestà. Aponte era stato accusato, a un certo punto, di aver fatto contrabbando col camion acquistato dopo la cacciata dall’ordine dei giornalisti. Scrisse Montanelli:” Camionista, a bordo di uno di quegli arnesi da intrallazzo e da Far West, in quei giorni che camion era sinonimo di avventura e di borsa nera, il mio Salvatore non riuscivo a figurarmelo”.“Perché l’epurato Aponte era un ex fascista, sì, ma senza una lira, al contrario di alcuni suoi epuratori che erano antifascisti, si, ma con i milioni”.
Alla famiglia Aponte, mi lega un ricordo personale, per molti anni dal 1946, con la famiglia abbiamo abitato al terzo e ultimo piano del palazzo “Aponte” in piazza Umberto I. Era una casa bellissima, dove noi ragazzi potevamo scorazzare a perdi fiato, nella tante stanze, corridoi e grandi terrazzi. Il dramma lo vivemmo, il giorno in cui arrivò la notizia che, gli Aponte da Roma avevano deciso di vendere la loro casa. Era la prima volta che sentivo mio padre Luigi parlare della famiglia Aponte e del famoso giornalista del Corriere della Sera. Mio padre fece di tutto, ma alla fine non avendo la somma necessaria all’acquisto, dovette rassegnarsi e cambiare abitazione. Fu una tristezza così intensa, lasciare quella casa, una tristezza che, dopo sessant’ anni ancora porto interamente dentro di me.