Problemi all’intero ecosistema marino del Golfo di Napoli per la temperatura che
sta cambiando rapidamente e questo avrà effetti forti anche
sulle specie marine, dai pesci ai molluschi”. Lo ha detto
Roberto Danovaro, presidente della stazione zoologica Anton
Dohrn di Napoli e del comitato scientifico nazionale del Wwf,
nel corso del convegno “Clima, natura, futuro” che si è svolto a
Napoli.
“Nel Golfo di Napoli – spiega Danovaro – abbiamo una delle
serie storiche più vecchie e precise dai dati che raccogliamo
ogni settimana dalla stazione di rilevamento di Marechiaro
attraverso l’analisi della colonna d’acqua. La temperatura sta
cambiando velocemente non tanto in inverno ma con picchi anomali
di calore nel periodo estivo, producendo quell’effetto sega
tanto temuto dagli sciennziati. La natura, infatti, non ama i
salti e la forte variabilità della temperatura crea problemi
gravi, spostando ad esempio i periodi riproduttivi, il che può
portare alla riproduzione in periodi in cui non c’è cibo per i
piccoli. Le specie più a rischio sino quelle comuni come le
stelle di mare, gli echinodermi e poi i pesci che mangiamo
abitualmente e i molluschi. Chiaramente questi effetti sono
ancora più evidenti quando si sommano all’inquinamento delle
acque e alla pesca eccessiva”. Anche un altro elemento della
tradizione marina partenopea è a rischio, spiega Danovaro: “Le
acque si stanno sempre più acidificando e questo crea problemi
agli organismi marini che creano poi i coralli: secondo le stime
nel 2100 sarà gravemente a rischio il corallo rosso nel golfo di
Napoli se il trend non cambia”.
L’incontro è stato organizzato dal Wwf come tappa di
sensibilizzazione verso la conferenza di Parigi sul clima in
programma dal 30 novembre. “Ero a Rio del Janeiro nel 1992 –
ricorda Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia
– quando venne firmata la convenzione quadro sui cambiamenti
climatici. Da allora la riduzione e l’ eliminazione dei
combustibili fossili nel nostro sistema economico non sono
avvenuto. Più perdiamo tempo più aggraviamo situazione perché
i dati ci dicono che il cambiamento climatico è in atto e somiglia
ai cambiamenti della storia che hanno avuto effetti devastanti
in periodi in cui non c’erano sette miliardi di persone al
mondo, di cui il 60% vive entro cento metri dalle zone
costiere”.
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