CON LA SCOMPARSA DI BRUNO PESAOLA NAPOLI PIANGE IL CAMPIONE, L’ALLENATORE,
Sua caratteristica, da giocatore, il piede sinistro capace di disegnare con il pallone traiettorie perfette destinate ai
compagni d’attacco e poi il cappotto portafortuna color cammello
indossato da allenatore anche sotto il solleone, 40 sigarette
fumate ogni giorno, anche di domenica sulla panchina, ed un
amore grande e smisurato per Napoli, ”un posto dove non ti
senti mai solo”. Questo era Bruno Pesaola, il ‘Petisso’, che
significa piccoletto (era alto 1 metro e 65 centimetri),
calciatore ed allenatore, morto a Napoli alla soglia dei 90
anni.
La sua geniale abilità sulla fascia sinistra del campo da
gioco, le sue fantasiose strategie sulle panchine di mezza
Italia, ma soprattutto una lingua saettante più del piede
sinistro ed una simpatia innata, ne hanno fatto uno degli uomini
più amati del calcio, per oltre un trentennio.
Nacque nel quartiere Avellaneda di Buenos Aires. Il padre,
Gaetano, era un calzolaio di Montelupone, in provincia di
Macerata, emigrato dopo la prima guerra mondiale in Argentina,
dove aveva sposato una spagnola di La Coruna. Pesaola arrivò in
Italia, ingaggiato dalla Roma, nel 1947 dopo aver giocato in
patria per cinque anni nel River Plate sotto la guida del mitico
maestro Cesarini, anche lui di origini marchigiane e dove, nelle
giovanili, fu compagno di squadra del grande Alfredo Di Stefano.
A Roma giocò per tre anni e, assieme al calcio, visse una
vita ricca di divertimenti. Diventò amico di attori importanti,
frequentava Dapporto, Rascel e Walter Chiari che gli diede una
parte nei film ‘L’inafferrabile 12’ e ‘L’inafferrabile 13’. Ma
il destino lo spingeva verso Napoli. Dal Novara, dove si era
trasferito e dove si era sposato con Ornella, fu ceduto al club
partenopeo nel 1952.
Con la maglia azzurra Pesaola disputò 231 partite al Vomero
e 9 al San Paolo. La città gli entrò subito nel cuore. ”Napoli
– diceva – è come il quartiere della Boca, a Buenos Aires:
colori, gente, chiasso, allegria, favola, canzoni”. Ed ancora:
”Io sono un napoletano nato all’estero”. Da Napoli non è mai
andato via, se non per temporanei trasferimenti di lavoro, prima
come calciatore a fine carriera (Genoa e Scafatese) e poi, a
partire dal 1961, come allenatore (Scafatese, Savoia,
Fiorentina, Bologna, Panathinaikos, Siracusa, Puteolana).
Sulla panchina della Fiorentina vinse uno storico scudetto
nel 1969 e l’anno dopo la portò fino ai quarti di finale di
Coppa dei Campioni. Nel 1985, a 60 anni, disse basta e si ritirò
definitivamente nella sua casa di Via Caravaggio, sulla collina
dalla quale, guardando verso i Campi Flegrei, lo sguardo
incontra lo stadio San Paolo.
Pesaola lascia aperto un libro di aneddoti e di ricordi che
segnano la storia del calcio italiano. ”Achille Lauro veniva a
giocare a scopa con noi. Mille lire a partita. Io e Comaschi lo
facevamo vincere, e lui era contento”. Ed ancora: ”Nel 1956 –
raccontava al giornalista Mimmo Carratelli – andammo a San Siro
e battemmo il Milan di Schiaffino che avrebbe stravinto il
campionato. Nel primo tempo 5-0 per noi. Feci due gol al grande
Buffon, due li fece Vinicio e uno Posio. A un certo punto,
Beltrandi fece un tunnel al Pepe, a Schiaffino. Mi sembrò un
oltraggio. Rincorsi Beltrandi e gli diedi uno schiaffone. Così
impari a rispettare i campioni, gli dissi”.
Il ‘Petisso’ regalò da allenatore al Napoli il primo torneo
della storia della società, la Coppa delle Alpi nel 1966. ”Il
Napoli era in un girone e la Juve nell’altro con squadre
svizzere. Ultima giornata con le due italiane a pari punti.
Nell’intervallo della gara contro il Servette a Ginevra, col
Napoli in svantaggio 0-1, feci annunciare dall’altoparlante che
la Juve stava vincendo la sua partita a Losanna e stuzzicai
Sivori: ‘Lasci la vittoria al tuo nemico Heriberto, bella
figura!’. Sivori si scatenò mandando in gol Canè, Bean e
Montefusco e il Napoli stravinse (3-1) e conquistò il trofeo. In
realtà, la Juve stava perdendo a Losanna e finì sconfitta”.
Bruno Pesaola era così, scaltro, furbo, divertente, ma era
anche un formidabile professionista del calcio. E così i tifosi
lo ricorderanno, con il suo cappotto color cammello addosso, con
la sigaretta tra le labbra ed un bicchiere di whisky in mano.
Inguaribile amante del calcio, impareggiabile amante della vita. Addio, caro Petisso.
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